La leggenda del Badalischio di Gressa
22.12.2012 18:16La leggenda del Badalischio di Gressa
Si narra, fin da un tempo indefinito, che nella valle del Casentino sia esistito una strana creatura: un rettile, un anfibio...una creatura mitologica di connotazione preistorica.
Il Badalischio.
Fino a che punto realtà ed immaginazione possano convergere questo non è dato a sapersi.
Era l'Ottobre del 1320 quando, nelle campagne dirimpetto al castello di Gressa, tale Ubaldo da Poggiolo, un vedovo bracciante dei Tarlati, allora reggenti della piccola fortezza, preso dalla fobia di non saper come far mangiare i suoi tredici figli, non ancora avvezzi al duro lavoro dei campi, si trovò a compiere un furto ai danni della piccola comunità valligiana. Egli, durante la vendemmia si dileguò con circospezione dal gruppo di lavoro e riuscì ad intrufolarsi dentro i seccatoi di Casa Nanni ove vi erano stivate le provviste destinate al dividendo di paga per tutti i braccianti.
Cosi, con molta scaltrezza riempì due balle piene di viveri e provviste, oltre ad un aio di bolle di olio vecchio e tre sacche di farina di castagne.
Da giorni Ubaldo covava di compiere tale razzia, infatti nei pochi momenti di riposo si assentava per tessere il suo rozzo acto criminis. Le guardie, molto lascive per fiducia, non lo avevano notato, ma Eliotto, figlio di Marco del Querceto, un vispo giovincello sui sedici anni lo aveva silenziosamente seguito durante le sue assenze.
Una volta i due vennero perfino redarguiti dal capo bracciante per aver iniziato con ritardo la raccolta, ma Ubaldo non si era preoccupato del fatto e, immerso nel suo progetto furtivo ebbe a continuar lo stesso e premurarsi semmai di aver studiato bene le mosse da fare.
Alla sera, Rosolina, faccendiera di Casa Nanni destò l'attenzione di tutti, quando, urlando a squarcia gola dall'aia antistante il podere, portò alla luce il misfatto. Cosi nel posto si precipitarono le guardie ed i signori e poi increduli gli altri braccianti e i bambini e tutti quanti.
Era tardo pomeriggio ed il cielo cupo dell'autunno, colorato da un diabolico rossore all'orizzonte, ove il sole ormai socchiuso, emanava filtrati raggi sul crepuscolare panorama casentinese sottostante, le guardie circondarono i braccianti riuniti e li bloccarono fino a che non fosse giunto qualcuno, inviato dai Tarlati di Bibbiena a compiere l'indagine e comminar la pena.
Bibbiena, che da lassù la si notava dominate, pareva aver sentito dell'accaduto e la fioca rilucenza che l'avvolgeva sentenziava già aria di offesa.
Giunse di a qualche ora, a buio inoltrato, un emissario di Pier Saccone Tarlati con corpo di guardia al seguito. Questo inveì verbalmente e minacciosamente contro la povera popolazione del luogo, li costretta dai signori di Gressa.
Un vento gelido di Tramontana si stagliava in quel del castello, tanto che quei pochi focolai tenuti accesi per far chiarore, stentavano a mantenersi e di calore non ne emanavano a sufficienza.
Gualtiero di Banzena, emissario del Tarlati sentenziò una dura pena da infliggere a tutti gli abitanti della zona e molto ebbe da ridire perfino con le guardie presenti al momento del crimine, a suo dire lascive ed incapaci.
« La pena » disse e continuò « ... consisterà nella costrizione al lavorar giorno e notte tutti: donne bambini uomini e vecchi, con il solo sostentamento alimentare di pane e acqua per tre settimane e, se alla fine della condanna non verrà fuori il nome del ladro sarà scelto un giovane tra di voi per metterlo alla forca».
Il gelo portato dal vento era nulla a confronto di quella spietata ed esemplare condanna.
Urla di pietà e gesti di estrema sottomissione da parte di quei poveracci non facevano alcuna differenza per l'emissario del Tarlati che, appena un attimo prima che se ne andasse, venne richiamato all'attenzione da un giovane bracciante il quale urlò per farsi sentire.
Era Eliotto che si fece avanti e che raccontò all'emissario con la presenza di tutti, gli insoliti episodi di assenteismo di Ubaldo da lui osservati.
Ubaldo, che poco prima aveva raggruppato la refurtiva dentro una siepe da lui manomessa per l'occasione nei giorni scorsi...non seppe replicare, se non gettandosi in ginocchio dinnanzi agli zoccoli del bianco cavallo montato da Gualtiero da banzena per chiedere a lui pietà promettendo che di li a breve avrebbe restituito tutto e senza far mancare nulla di quanto rubato. Poi continuò spiegando le ragioni per cui aveva commesso il furto attribuendo la colpa alla sua difficile condizione familiare piangendo a dirotto.
Gualtiero di Banzena, un tempo anch'esso figlio di braccianti, ebbe clemenza e, scagionando la popolazione da ogni accusa volle punire Ubaldo con pena esemplare, condannandolo non alla morte, per altro non prevista per reati simili, ma alla gogna popolana, che consisteva nel metterlo legato ad una grossa vite negli ortali del cassero per una settimana ed esposto alla ferocia dei suoi stessi compagni di fatiche, con il solo sostentamento alimentare di un ramaiolo d'acqua al dì e poltiglia d'insetti .
In genere il condannato lo si sottoponeva ad ingiurie di ogni tipo e lo si prendeva come sfogo su cui liberare le proprie ire, cosicché pugni calci e dispetti fisici vari erano le azioni preferite dalla rozza popolazione, al punto che in taluni casi la condanna poteva degenerare con la morte.
Ubaldo venne legato come da disposizioni vigenti nel Castello di Gressa ed esposto all'ira di popolani. Quella stessa notte però gli stessi popolani stremati ed ancora scossi dal rocambolesco evolversi degli eventi, lasciarono Ubaldo solo, in balia del vento e dell'oscurità.
Ognuno tornò nel proprio rifugio domestico per coricarsi ed essere pronti per il lavoro del mattino seguente.
Quella sessa notte qualcosa di sconcertante avvenne tra le mura di Gressa. Urla strazianti provenivano dagli ortali del cassero. Era Ubaldo che li emetteva e cosi, presi dall'insonnia e da una curiosità mista a paura, alcuni braccianti, svegliati dalla confusione e muniti di torce, vollero avvicinarsi alla postazione del condannato e lì, con stupore e terrore assisterono ad un episodio davvero terrificante e destinato a far parlare di se in tutta la valle del Casentino.
Il povero Ubaldo da Poggiolo era caduto preda di un orribile creatura dalle fattezze di un enorme serpentone con coda lunga piccole ali retrattili e testa da uccello rapace con occhi rossi ed accecanti, un sorta di demone che si appropriava dell'anima di un furfante stritolandone la carne.
I giorni seguenti l'accaduto il fatto del Castello di Gressa echeggiò in tutto il Casentino e si venne a sapere da vecchi narranti che tale creatura non era la prima volta che faceva la sua comparsa e che se ne conosceva perfino il nome, si trattava infatti del Badalischio del Casentino, non un demone dunque, ma una creatura leggendaria che di tanto in tanto nel corso dei secoli faceva misteriosamente la sua comparsa. Inoltre, non lo si identificava come mostro demoniaco inviato dal maligno, ma piuttosto come creatura giustizialista per conto dei casentinesi e della valle stessa, sin dall'epoca - che si perde nella notte dei tempi - in cui in buona parte del Casentino e laddove oggi vi è una depressione morfologica vi era un grande lago preistorico, dal quale tale Badalischio sembrerebbe discendere o provenire.
Gressa, Ottobre 1919, l'epoca dei Tarlati era finita ed il medioevo passato, il Castello di Gressa era addivenuto frazione del comune di Bibbiena che, a sua volta faceva parte del Regno d'Italia.
Il Castello ed il cassero con le sue poderose mura di un tempo verteva in rovina, secoli di abbandono lo avevano portato a tal punto.
Negli ortali e nei campi limitrofi esistevano e resistendo ancora i filari di viti e la vendemmia con essi.
Tale Sebastiano Milloni, bracciante agricolo del Molin di Gressa si trovava a vendemmiare poco sotto il castello, munito di forbicioni marraccio e segaccio da pota, era intento nel suo lavoro quando improvvisamente venne colto di sorpresa da un inspiegabile caduta, per fortuna non rovinosa. Cadde al suolo dalla scala sulla quale si trovava e nel mentre che si rialzava, subito venne gambizzato da una forza bruta che lo travolse, cosicché, nel far mente locale vide incredulo e allibito un insolita e orribile creatura rimostrante denti aguzzi ed occhi rossi con fattezze da serpente dalla coda lunga e minacciosamente semovente, aggredirlo.
Sebastiano, scaltro, giovane e possente, schivò con sorprendente velocità il primo attacco della bestia e nel rotolare a terra sfoderò il suo marraccio.
La bestia si girò di nuovo gettandosi ancora su di lui e colpendolo con la lunga coda, il giovane cadde a terra stordito ma non si perse d'animo e capì che non avrebbe avuto scampo da quella situazione, l'unico modo per salvarsi la pelle era quello di ucciderla.
“ O lei o io!” si rammentò, cosi fu lui per primo a sferrare l'attacco e serrando l'attrezzo agricolo come una scimitarra piegandosi nella corsa colse la creatura di sorpresa riuscendo ad infliggerle una mortale ferita sul collo.
La bestia morì e Sebastiano, se pur contuso, legò la creatura raggomitolatasi su se stessa con dimensioni simili a quelle di un cinghiale adulto e la trascinò fino all'aia di Casa Nanni, appena sotto le seconde mura del castello. Qui, con lo stupore di tutti i presenti, padroni, braccianti ed altri, la bestia venne distesa su di un carro per poi essere osservata ed ispezionata da molte genti che nei giorni seguenti accorsero per vederla.
Di nuovo, i vecchi della zona identificano la bestia come il Badalischio del Casentino ossia nello specifico di quello di Gressa.
Erano passati quasi seicento anni e di nuovo il Badalischio aveva fatto la sua comparsa.
Naturalmente la storia non finisce qui, in quanto il figlio dello stesso Milloni, Aldo, afferma che suo padre non si disfece del Badalischio in maniera semplice o sprovveduta, infatti all'epoca dei fatti, vennero a conoscenza della vicenda alcuni luminari scienziati zootecnici della Specola di Firenze che fecero subitaneamente visita al signor Milloni in quel del Molin di Poggiolo .
Qui gli scienziati, interessatissimi alla cosa, si accordarono con Sebastiano pagando una cifra considerevole per la compera della insolita ed unica creatura uccisa che si portarono, con l'intento di studiarla ed esporla, a Firenze.
Siamo ai giorni nostri e, pur con con una storia volutamente romanzata, e quindi con alcuni nomi e fatti inventati appositamente per dar forma e contenuto al racconto ( in pratica quelli dell'epoca medievale), la vicenda, basata su alcuni fatti probabilmente accaduti davvero, continua.
Infatti, come racconta l'attuale proprietario del Castello, il signor Beniamino Dini, conoscitore attento della storia e delle leggende legate al piccolo abitato di Gressa, durante un incontro con Aldo Milloni, figlio appunto di Sebastiano, questo gli chiese se suo padre o lui stesso si fossero mai preoccupati di sapere che fine avesse fatto il Badalischio e la risposta fu quella che aveva desiderato sentirsi dare ossia, che la creatura di sicuro era ancora a Firenze e che se l'avessero mai esposta o meno, questo non era dato a sapersi.
Ecco quindi che Beniamino, mosso da forte curiosità e dal supporto di credibilità della storia assicurato dalla fiducia in Milloni, si reca a Firenze al museo della Specola e qui, ponendosi all'attenzione di una responsabile, le chiede che notizie avesse di questo Badalischio, portato presumibilmente da due o più scienziati fiorentini nel 1919 e proveniente dalla valle del Casentino.
La gentile responsabile – dice il signor Beniamino – non seppe indicarmi con esattezza dove fosse stivata questa creatura, ma di sicuro, mi ha dette conferma circa l'esistenza del Badalischio e dei suoi resti poiché dagli archivi del tempo risultava che questo fosse stato catalogato ed archiviato per poi essere assicurato con l'imbalsamazione dentro ad un grande contenitore di vetro ( come si faceva all'epoca).
Adesso è proprio qui il dilemma che si tinge di giallo e cioè che non sappiamo dove poterlo cercare all'interno dello stesso museo dal momento che questo è composto da enormi stanzoni di archiviazione pieni zeppi di contenitori simili se non identici.
Una goccia d'acqua nel mare insomma ma non impossibile da ritrovare comunque ..
Può essere pure che la storia non stia in piedi ma...per il Casentino sarebbe una gran bella cosa poter ritrovare la sua simbolica creatura mitologica, un po' come per gli scozzesi se trovassero qualche reperto di Ness , il Mostro di Locnes.
Valter Ceccherini
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